Quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla consegna del Premio Nobel a Ernest Hemingway. Il leggendario scrittore americano vinse il premio nel 1954 grazie al libro “Il vecchio e il mare”, libro che poi divenne anche un celebre film con Spencer Tracy come protagonista.
Durante tutta la sua vita, Hemingway ebbe cura di dare di sé un’immagine da vero duro; cacciatore incallito, pescatore d’altura, pugile, dongiovanni e gran bevitore. Famosi sono diventati i suoi safari in Africa, i viaggi per mare a bordo del suo yacht “Pilar”, le corrispondenze di guerra. Meno conosciuta invece è la infinita tenerezza che lo scrittore dimostrava ogni volta che si trovava in compagnia di un gatto.
Hemingway amava moltissimo i gatti. Scrisse in una lettera ad un caro amico: “I gatti dimostrano di avere un’assoluta onestà emotiva. Gli esseri umani, per una ragione o per l’altra, quasi sempre riescono a nascondere i propri sentimenti. I gatti no.”
Nel romanzo “Isole nella corrente”, pubblicato postumo e che viene considerato dai critici il più autobiografico dei suoi libri, Hemingway descrive il protagonista, Thomas Hudson, che riposa teneramente abbracciato al suo micio. Si legge: “Aveva il gatto allungato sul petto e tirò una leggera coperta su tutti e due e aprì e lesse le lettere e bevve a piccoli sorsi un bicchiere di whisky annacquato che tra un sorso e l’altro rimetteva per terra.” E poi ancora: “Il gatto faceva le fusa, ma lui non lo sentiva perché le fusa del gatto erano mute, e allora lui teneva una lettera in mano e toccava la gola del gatto con un dito dell’altra.”
Nella Finca Vija, la grande villa che possedeva a Cuba, lo scrittore viveva con 57 gatti. Aveva fatto costruire per loro una torre: al piano superiore aveva ricavato un piccolo studio per sé e in quello inferiore aveva sistemato le cucce per i suoi piccoli amici. Quando era in giro per il mondo, in Africa, in Spagna o in Italia, telefonava spesso a casa per avere notizie dei gatti. In particolare era affezionato a Crazy Christian, Friendless’ Brother e Ecstasy. E ai suoi piccoli amici dedicò spesso alcune delle sue avventure.
Nel 1942, ad esempio, la Marina degli Stati Uniti affidò ad Hemingway il compito di pattugliare le coste di Cuba con il suo yacht alla ricerca di sottomarini tedeschi. Si trattava di un’operazione top-secret che lo scrittore ribattezzò “Frindless” come uno dei suoi gatti. E sempre durante la seconda guerra mondiale, Hemingway ebbe l’idea di costituire una specie di agenzia di spionaggio con base nella sua Finca di Cuba. Il nome dell’operazione fu “Crook Factory”, dal nome, Crook, di uno dei gatti che più amava.
Esiste una foto che ha fatto il giro del mondo e che ritrae lo scrittore seduto nello studio, con la luce che entra dalla grande vetrata alle sue spalle e che illumina la scrivania, piena zeppa di carte, fascicoli, cartelle, taccuini. Hemingway è davanti alla macchina da scrivere e con una mano accarezza un gatto che cammina sui fogli. La coda del micio è tenuta alta, con la punta ripiegata nell’atteggiamento amichevole di chi saluta ed è quindi facile immaginare la scena. Hamingway sta lavorando quando uno dei suoi gatti viene a fargli visita, salta sul tavolo e lo saluta, magari cercando tra le carte un posticino dove addormentarsi. Lo scrittore allora interrompe quello che sta facendo per contraccambiare le attenzioni del piccolo amico. E chissà quante volte sarà capitata una cosa del genere dal momento che, come si è detto, i mici che abitavano con lui era ben 57.
Purtroppo capitarono anche dolorosi incidenti. Si racconta che un giorno una gattina attraversò la strada fuori dalla tenuta e venne investita da un’automobile di passaggio. Ferita a morte, riuscì a trascinarsi fino alla porta di casa, dove Hemingway la trovò. Lacerato dai miagolii di agonia della povera gatta, lo scrittore decise di porre fine, con le sue mani, alle sofferenze dell’animale. I domestici lo trovarono poi con la micia tra le braccia, mentre piangeva come un bambino.
Roberto Allegri