Un gatto da fiaba.
Il film di animazione “Shrek 2”, grandissimo successo che nel mondo ha guadagnato oltre 900 milioni di dollari e che è stato uno dei più visti in Italia durante le vacanze natalizie, ha riportato di moda una vecchia fiaba che un tempo i nonni raccontavano ai nipotini e che l’avvento della modernità aveva chiuso nello stanzino dei ricordi. Si tratta de “Il gatto con gli stivali”, fiaba dello scrittore francese Charles Perrault del 1697. Ha come protagonista un micio che, indossando un paio di grandi stivali, si spaccia per il servitore di un ricco marchese e riesce a togliere dalla miseria il suo povero padrone, rimasto senza eredità. In “Shrek 2” il gatto con gli stivali è uno degli “attori” principali e diventa una sorta di moschettiere, uno spadaccino molto simile a Zorro al punto che, in lingua originale, è doppiato proprio dal divo di Hollywood Antonio Banderas interprete del film “La maschera di Zorro” del 1998.
Il gatto con gli stivali è solo uno dei tanti mici protagonisti di fiabe e racconti famosi. L’astuzia, la curiosità, il coraggio e, a volte, anche la ferocia, tutte caratteristiche tipiche dei gatti, li rendono perfetti per vicende di fantasia che, molto spesso, hanno soprattutto lo scopo di evidenziare pregi e difetti della natura umana.
Esopo, il grande favolista greco vissuto tra il VII e il VI secolo avanti Cristo, mise molte volte il micio al centro delle sue storie. In una delle più celebri, Esopo racconta di una gatta che si innamora perdutamente di un uomo e prega la dea dell’amore Afrodite perché la trasformi in una donna. Afrodite acconsente e la gatta, diventata umana, può così sposare il suo amato. Ma un giorno la dea, per capriccio, fa entrare un topolino nella stanza degli sposi e la donna, che non ha perso del tutto gli istinti felini, balza sul roditore tentando di mangiarlo. E dimostrando – ed è la morale della favola – che è possibile cambiare il proprio aspetto ma non la propria natura.
Nelle favole di Esopo si parla anche di un gatto che fa la posta davanti alla tana dei topi, i quali per paura di uscire allo scoperto rischiano di morire di fame. Uno dei topolini più astuti propone però l’idea di legare al collo del gatto un campanello così da poterlo sentire avvicinare e riuscire a fuggire in tempo. Ma gli entusiasmi per la trovata vengono subito raffeddati dal topo più anziano e più saggio che pone una domande rimasta senza risposta: chi metterà il campanello al collo del gatto?
Altro micio conosciuto in tutto il mondo grazie ad una favola è il “gatto del Cheshire” del libro “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” che lo scrittore inglese Lewis Carroll scrisse nel 1865. Si tratta di un gatto saggio, filosofo, che possiede anche il dono di poter scomparire e che è diventato uno dei personaggi più amati nella letteratura per l’infanzia.
Non si può poi dimenticare il micio protagonista del racconto “Il gatto che camminava da solo” di Rudyard Kipling, lo scrittore inglese vincitore del Nobel per la letteratura nel 1907. Nel racconto si può leggere il più affascinante ritratto di un micio, furbo e orgoglioso, che riesce con uno stratagemma a mantenere la propria indipendenza e nello stesso tempo a farsi accettare tra gli uomini senza diventare uno schiavo.
In letteratura dunque abbondano i gatti saggi, buoni, astuti e fieri. Ma anche che incutono paura come quelli di Edgar Allan Poe. Lo scrittore americano, considerato come uno dei primi grandi autori del genere horror, scrisse tra il 1840 e il 1845 diversi racconti tra cui uno, “Il gatto nero”, aveva per protagonista un micio di nome Pluto. La cupa e folle atmosfera che aleggia sul racconto ha spaventato generazioni di lettori anche se, in realtà, il povero Pluto è tutto tranne che malvagio. Picchiato dal suo padrone fino a perdere un occhio, Pluto lo perdona. Ma per questo alla fine viene dal padrone impiccato ad un albero.
Roberto Allegri