Il gatto non è così.
Nel film “Il Grinta” del 1969, John Wayne interpreta la parte di uno sceriffo in là con gli anni, che vive con un gatto dal pelo rosso. “E’ suo quel gatto, sceriffo?” gli domandano. “No.”, risponde, “non appartiene a nessuno. Lui si limita ad alloggiare da me.” Anche il vecchio cinema western celebrava l’indipendenza del gatto. Questa caratteristica, presunta ma per niente vera, è diventata ormai proverbiale. Il gatto è per tutti l’animale solitario per eccellenza, quello che non ha bisogno di nessuno. E’ un cacciatore nato e quindi in grado di procurarsi il cibo da sé, non sa che farsene dei gesti affettuosi e li usa solo per avere qualche boccone senza fare fatica, non è interessato alle comodità ma può addormentarsi ovunque a patto che sia un posto tranquillo e isolato. Belle parole, ma il gatto non è così. La tradizione che lo vuole ladro e opportunista è del tutto esagerata e chiunque viva con un micio lo sa bene. Eppure, le dicerie sul conto del gatto hanno alimentato in passato vere e proprie persecuziuoni ai danni dei poveri animali, considerati creature infernali. Purtroppo fu la Chiesa cristiana una delle maggiori propagatrici di queste condanne nell’Europa immersa nel buio del Medioevo. Quando il loro potere fu minacciato dallo scontento popolare, alcuni ecclesiatici incolparono della durezza dei tempi una schiera di donne, ritenute streghe, e in particolare i loro gatti. I piccoli animali, che in passato erano stati oggetti di culto nelle civiltà pagane, divennero il perfetto capro espiatorio e a milioni furono massacrati. Per fortuna oggi le cose sono cambiate, ma le tracce di quelle persecuzioni sono rimaste nei detti popolari che ritraggono il gatto come una creatura “a parte”, che desidera vivere da sola e che non vuole avere contatti, se non interessati, con gli uomini. La realtà è invece ben diversa. Il micio sa essere un amico prezioso, intimo, per nulla riservato, addirittura loquace. Conserva sempre una dignitosa delicaterzza in tutti i suoi rapporti, ma è capce di creare un legame molto profondo con chi gli vuole bene. Come spiegare altrimenti il suo complesso sistema di comunicazione? Per “parlare” il gatto usa la voce e i movimenti di orecchie, coda, baffi, occhi, pelo: un po’ troppo per fare di lui un “asociale”. Sembra invece che, in un modo tutto suo, abbia una grande esigenza di fare amicizia. E non solo con le persone. A dispetto di ogni tradizione infatti, un cane e un gatto che vivono insieme d’amore e d’accordo ormai non fanno più notizia. Lo vedo tutti i giorni. I miei cani e miai gatti sono grandi amici, spesso mangiano addirittura dalla stessa ciotola oppure si risposano l’uno accanto all’altro vicino alla stufa. Ma per contraddire ancora di più chi si ostina a definirli “asociali”, i gatti diventano amici anche di altri animali, a volte tra i più strani. Celebre è l’amicizia tra il micio “All Ball” e Koko, la femmina di gorilla famosa per aver imparato il linguaggio dei sordomuti. Ma poi gatti che sono amici inseprabili di topi, furetti, uccelli, lupi, orsi. Tutti fatti che lasciano senza parole e che fanno capire come il gatto nasconda ancora molte cose nella sua personalità che non conosciamo. Scoprirle però non è così difficile. Può essere sufficiente restare in ascolto: dirà tutto lui.
Roberto Allegri