Teneri compagni di prigionia
Tutti coloro che vivono con un gatto l’hanno sperimentato.
Il micio sa essere davvero vicino nei momenti di sconforto e sembra quasi possedere antenne particolari in grado di captare la tristezza del padrone.
Allora, con la sua innata discrezione e delicatezza, ecco che salta in braccio, si strofina facendo le fusa, dimostra una sensibilità capace di strappare il dolore dall’animo e far riaffiorare il sorriso.
Nel corso dei secoli i gatti sono stati i teneri compagni di molte persone imprigionata o costrette in un letto d’ospedale. Alcuni di questi mici sono passati alla storia.
Ad esempio Acanter, il gatto di sir Henry Wyatt. Sir Wyatt, vissuto tra il 1460 e il 1537, venne fatto rinchiudere nella Torre di Londra da Riccardo III, per essersi più volte opposto alla sua pretesa di diventare re dopo aver usurpato il trono d’Inghilterra al nipote Edoardo V. Si racconta che sir Wyatt, ridotto in catene e in pericolo di vita a causa dell’inedia, fu salvato da un gatto di nome Acater col quale aveva fatto amicizia. Il gatto si accucciava accanto a lui, lo teneva al caldo di notte e ogni giorno catturava un piccione portandolo poi al suo amico perché riuscisse a sopportare i morsi della fame. In ricordo di Acater, nel castello di Allington, nel Kent, dimora dei discendenti di sir Wyatt, i gatti sono ancora oggi sempre i benvenuti.
Nella tristemente celebre Torre di Londra venne imprigionato anche sir Henry Wriothesley, terzo duca di Southampton (1573-1624). Era il magico periodo a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, e in Inghilterra governava la regina Elisabetta I. Ma era anche il tempo di quello che viene considerato il più grande poeta di tutti i tempi, William Shakespeare. Egli aveva dedicato proprio a sir Wriothesley, suo mecenate, due sonetti intitolati “Venere e Adone” e “Lucrezia violata”. Per motivi politici, nel 1603 il duca di Southampton fu rinchiuso nella Torre di Londra dove rimase per due anni. Ma non fu mai solo.
La notte in cui fu imprigionato, la sua Trixie, una bella miciona bianca e nera scomparve. Nessuno la vide più e i familiari del duca pensarono che fosse certamente stata uccisa. Ma non era così. Trixie si era solo nascosta e poi, guidata dall’olfatto e da quei misteriosi poteri di orientamento che i gatti possiedono, aveva attraversato l’intera città di Londra. Strade, ponti, cortili, alti palazzi, gente sconosciuta, cani, cavalli, soldati, tutto deve essere apparso strano e pauroso alla gatta che fino a quel momento era vissuta solamente tra gli agi delle stanze del duca. Ma nascondendosi nell’ombra, Trixie arrivò fino alla fortezza, si arrampicò sulle mura e poi sui tetti. Sembrava andare a colpo sicuro come se quella strada l’avesse percorsa chissà quante altre volte. Con un balzo fu sulla cima di un camino e poi, strisciando all’indietro, si calò all’interno. Quel camino arrivava proprio alla cella dove il suo padrone stava imprigionato. Il duca di Southampton rimase senza parole. Vide sbucare dal camino la sua gatta, come un’apparizione magica e grosse lacrime di gioia luccicarono sul suo viso. Strinse a sé la sua Trixie. La prigionia sarebbe stata più sopportabile adesso.
Due anni più tardi, ormai libero, il duca volle che i posteri ricordassero ciò che la sua gatta aveva fatto. Commissionò un grande quadro nel quale vennero ritratti lui stesso, con i capelli lunghi e un braccio al collo, e sul tavolo la sua Trixie, fedelissima compagna.
Nel 1756, il poeta inglese Christopher Smart (1722-1771), venne internato in un ospedale per malati di mente e vi rimase per otto lunghi anni. A quel tempo i manicomi erano veri e propri gironi infernali ma Smart riuscì a sopportare gli orrori della prigionia e la solitudine solo grazie al gatto Jeoffry che fu sempre con lui e che con il suo affetto lo salvò dal baratro della disperazione. L’opera di Smart “Jubilate Agno”, dedicata al caro Jeoffry, raccoglie proprio versi di straordinario amore per il piccolo amico. Vi si legge:
“Poiché voglio trattare del mio gatto Jeoffry.
Poiché egli è il servo di Dio Vivente, debitamente e quotidianamente servendolo.
Poiché come sentinella del Signore vegli nella notte contro l’Avversario.
Poiché si oppone ai poteri del buio con la sua pelle elettrica e i suoi occhi abbaglianti.
Poiché si oppone al Diavolo, che è morte, facendo una vita attiva e intensa.”
ROBERTO ALLEGRI