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Il linguaggio del gatto

I gatti sapienti

Ha scritto Claudio Magris: “Il gatto sta per stare, come ci si stende davanti al mare solo per essere lì, distesi e abbandonati. E’ un dio dell’ora, indifferente, irraggiungibile”. Le parole affascinanti del grande scrittore triestino ritraggono il micio come un animale misterioso, una divinità dallo sguardo insondabile di cui ci è dato di sapere ben poco. E per certi versi è proprio così.

Quando si pensa di avere le idee chiare sul piccolo abitante del nostro salotto, una nuova scoperta ci riporta al punto di partenza per spiegarci che il gatto è sempre più veloce, sempre più agile, sempre più pigro, sempre più scaltro. Le ricerche sulla sua capacità di apprendimento continuano a dare risultati sorprendenti e ormai il micio è considerato tra gli animali più intelligenti. Quando il peso del suo cervello viene paragonato al peso del corpo, si ottiene infatti un rapporto superiore a quello di tutti gli altri mammiferi fatta eccezione solo per le scimmie e per i delfini.

Non solo, ma visto che il cervello del gatto è molto simile al nostro in quanto a funzionalità e struttura, studiarlo ci aiuta a comprendere meglio anche la natura umana. Lo aveva intuito molto bene il filosofo francese di fine Ottocento Hippolyte Taine che scrisse in un suo libro: “Ho studiato molti filosofi e molti gatti: la saggezza dei gatti è infinitamente superiore.”

Ma cosa può fare il micio con la sua intelligenza? Prima di tutto impara in maniera estremamente rapida, adattandosi così ai cambiamenti dell’ambiente. E poi dimostra di possedere una memoria infallibile. Di recente, Jules Masserman e David Rubinfine, ricercatori della Facoltà di Psichiatria dell’Università di Chicago, hanno addestrato un gruppo di gatti a contare. Utilizzando dei recipienti contenenti leccornie, che si possono aprire soltanto premendo un pedale un determinato numero di volte, i ricercatori hanno osservato che in pochissimo tempo i gatti imparano il corretto numero di operazioni per ottenere la ricompensa. Un risultato importante, che è servito anche per capire come sia possibile imparare a contare senza possedere un linguaggio vero e proprio. Studi del genere pongono le basi per un ipotetico insegnamento dell’aritmetica ai bambini in modo completamente diverso, ossia non verbale.

Ma siamo sicuri che i gatti non possano anche parlare? In verità lo fanno ogni giorno, perché il loro miagolio è un sistema di comunicazione rivolto esclusivamente al padrone. E’ come se il micio si fosse accorto delle nostre difficoltà e avesse deciso di “parlare” come facciamo noi, usando la voce. Tra di loro infatti i gatti vocalizzano raramente e solo i piccoli lo fanno quando chiamano mamma gatta. Il nostro micio, che ci considera un po’ come i suoi genitori, usa quindi una vasta gamma di suoni per richiamare l’attenzione, quando ha fame, quando vuole uscire di casa, quando vuole semplicemente salutarci o quando un oggetto di casa è fuori posto e ha sconvolto la sua routine. Negli anni ’30 la psicologa Mildred Moelk aveva individuato sedici diverse espressioni vocali che i gatti riservano ai padroni, e recentemente la ricercatrice Patricia McKinley ne ha scoperti addirittura 23.

Ma è anche esistito un vero e proprio gatto parlante. Si chiamava Mesi e viveva a Mosca. Agli inizi degli anni Ottanta attirò l’attenzione di giornalisti e scienziati di tutto il mondo perché sembra fosse in grado di pronunciare correttamente il suo nome. Quando la padrona gli chiedeva “Come ti chiami?”, il micio rispondeva “Mesi”. E quando gli veniva chiesto dove abitasse, rispondeva chiaramente “Mosca”. In realtà poi venne scoperto che, a causa di una malformazione della laringe, Mesi emetteva miagolii molto simili alla voce umana.

ROBERTO ALLEGRI

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